Noi siamo abituati a leggere. E per leggere intendiamo le parole scritte nei libri, le frasi, la punteggiatura. Noi, quando le frasi sono belle, le chiamiamo poesia. E ci da fastidio quando qualcuno inizia ad analizzarla la poesia, iniziando a dire "questo è un anacoluto, questa una metonimia" e tutte quelle cose che si dicono quando si fa la critica di qualcosa che è scritto.
Poi prendiamo ad esempio la carta. Da sola sembrerebbe che non ci dica granché. Nel senso che la carta non si legge se non ci è scritto nulla sopra, e guardarla, anche intensamente, quando è così bianca, non ci dà troppa soddisfazione; sarà che siamo banalmente abituati a leggere una pagina quando è scritta e non leggerla quando non lo è - un po' pane al pane vino al vino- lasciando ad altri le abilità che furono di almeno numero due greci -Pindaro e Icaro- nell'arte del volo, per quanto ne constatiamo gli esiti che furono diversissimi per l'uno e per l'altro.
Stavolta però, tirando le fila del discorso, ci siamo meravigliati davanti all'opera in questione che parole non contiene per nulla, se non in copertina: dunque alla faccia nostra -che forse siamo un po' troppo poco poeti-, ma soprattutto alla faccia dei tanti aviatori delle parole che troppo poeti si credono, vi invitiamo a meravigliarvi, come noi abbiamo fatto, e a guardare, perché di questo si tratta, il libro pop up di David Pelham "Scia. Poesie di carta". Non ve ne pentirete. link ibs link amazon