Michelangelo Antonioni e Monica Vitti si incontrarono per la prima volta nel 1957. C’erano i film, c’erano i mille mondi esplorati e da esplorare insieme, e c’era l’amore. Durante il doppiaggio de “Il grido”, il regista aveva notato quell’insolita ragazza. “Lei ha una bella nuca”. Così la apostrofò. Così nacque l’alchimia, l’intesa, il mistero dell’attrazione. L’attrice non era solo la musa del Maestro, non c’era solo il classico meccanismo di un autore che proietta se stesso su un attore. C’era di più, c’era uno scambio: lei è stata l’interprete in grado di esprimere i sentimenti che Antonioni voleva esprimere, lui il più grande regista della sua carriera.
L’avventura iniziò con “L’avventura”. Una rivoluzione. Per il nostro cinema e per quello internazionale, sicuramente per le vite di chi vi prese parte. Poi vennero altri film e altre storie. “La notte”, “L’eclissi” e “Deserto rosso”. Cinema e vita che hanno continuano ad intrecciarsi. Poi la loro relazione finì, e come Antonioni ha insegnato con i suoi film, è vero che gli amori finiscono con dolore, ma con naturalezza.
L’avventura iniziò con “L’avventura”. Una rivoluzione. Per il nostro cinema e per quello internazionale, sicuramente per le vite di chi vi prese parte. Poi vennero altri film e altre storie. “La notte”, “L’eclissi” e “Deserto rosso”. Cinema e vita che hanno continuano ad intrecciarsi. Poi la loro relazione finì, e come Antonioni ha insegnato con i suoi film, è vero che gli amori finiscono con dolore, ma con naturalezza.
Chissà con che grazia e che malinconia, ma anche con che incredibile ironia, e quanta bellezza saprebbe raccontare questo presente così immobile, questo presente carico di giorni smarriti. Lo saprebbe fare, sempre un passo avanti, forse anche due, senza spaventare nessuno, fingendo svagatezza, anzi svogliatezza, e anche pigrizia.
Un’inquadratura, una battuta, un volto, un alaindelon, un bacio, un deserto rosso, un uomo magro dietro la macchina da presa, una nuca al doppiaggio, una parrucca nera, un’avventura. Il saper andare fuori per stare dentro. Il portare la pistola con stile e grazia. Infrangere le regole, sovvertirle senza darlo a vedere. Restare piccole nei luoghi grandi, e diventare grandi in quelli piccoli. Far ridere della propria malinconia. E soprattutto, stare in silenzio, quando è necessario. Anche per moltissimi anni. Forse fino alla fine.