Abbandonato il mio amore per “Juno”, uno dei film più fintamente anticonformisti, il mio entusiasmo per Jason Reitman è esploso di nuovo con “Up in the air”, sicuramente una delle commedie americane più riuscite dell’ultimo periodo. Amara e intelligente, un George Clooney annunciatore di una cattiva novella (“Il suo posto non c’è più, raccolga le sue cose e se ne vada”), uno delle poche pellicole che ha saputo narrare questa crisi: uomini e donne che non si sentono più nessuno, facce che trasecolano sguardi persi, che pensano a un futuro che non c’è più, perché perdendo il lavoro si perde tutto. Anche la propria dignità. Il racconto di un irresistibile commesso viaggiatore, l’ambasciatore della disperazione altrui, che gira per il paese dedicandosi a quello sporco lavoro che le aziende che non vogliono fare: licenziare.
È uscito in questi giorni, presentato all’ultimo Festival di Berlino, “Young Adult”, film in cui Reitman è tornato a lavorare con la sceneggiatrice Diablo Cody, costruendo una delle commedie più nere, ma anche scomode e affascinanti di quest’anno.
Mavis Gary è bellissima, sfrontata e senza alcuna remora morale. Ha lasciato la piccola cittadina di provincia di cui è originaria per cercare fortuna a Minneapolis, dove ha sfiorato il successo. Bastano poche particolarità per descriverla, ma sufficienti per delineare le piaghe della sua fisionomia e della sua personalità: come appare, come vorrebbe apparire e come è. La cura maniacale di sé, lo sfoggio di sicurezza, i tempi morti delle sue giornate, la confidenza con il bicchiere. È tornata, alla ricerca di quello che vent’anni prima era stato il suo ragazzo (che nel frattempo si è sposato e ha un figlio), ma sarà un altro ex compagno di classe, l’allora sfigato del gruppo a raccogliere le etiliche confidenze. Patologico il piano di lei: riprendersi la fiamma dell’adolescenza, per riaffermare quel patetico e odioso ideale di coppia perfetta, quello vagheggiato da adolescente, quando Mevis ostentava arroganza e sicurezza di sé, e rabbiosa volontà di prendersi tutto ai danni degli altri. Ma oggi questa ostentazione è soltanto un povero simulacro: sotto il superficiale smalto, è lo stereotipo della provinciale distruttivamente pronta a tutto per la scalata sociale.
È una prova della sgradevolezza del personaggio femminile, sicuramente senza redenzione.